"Lei sta all'orizzonte: mi avvicino due passi, lei si allontana due passi. Cammino dieci passi, e l'orizzonte si allontana dieci passi più in là. Per molto che io cammini, mai la raggiungerò. A che serve l'utopia? A questo serve: a camminare!"
(Eduardo Galeano)

venerdì 12 settembre 2008

FEDERALISMO: LO STATO DELL'ARTE


Tratto oggi un argomento che è presente nell’agenda politica del nostro paese ormai da qualche mese: il federalismo. Volevo cominciare descrivendo quella che è la storia del processo federalista in Italia. Il nostro paese ha intrapreso la strada del federalismo nel 1997 quando l’allora governo Prodi aprì in Italia la stagione delle riforme per il federalismo, dapprima fiscale e successivamente delegando funzioni alle regioni. Come si può vedere dal grafico qui sopra, con l’introduzione dell’Irap, sempre più soldi dei contribuenti sono rimasti nella regione di residenza creando di fatto un federalismo fiscale molto forte. Nel 2007, prima dell’abolizione dell’ICI (manovra che fa fare un passo indietro all’Italia su questa questione), circa il 60% delle tasse complessivamente versate dal contribuente all’erario sono rimaste sul proprio territorio senza passare da Roma. Questi passaggi di tipo fiscale sono stati accompagnati da una riforma della carta costituzionale che ha ridisegnato la divisione delle competenze tra stato e regioni. Il dato dei contenziosi tra queste due entità, in aumento dopo la riforma costituzionale del 2001 (qui l’ultimo rapporto del Senato), segnala però come questo passaggio sia stato a tratti confusionario e non frutto di un ripensamento davvero serio e completo dello stato e delle sue funzioni. Inoltre si è avuta in alcuni casi una moltiplicazione degli uffici con conseguente sperpero di denaro pubblico. Infatti, se a livello locale la spesa è stata razionalizzata e sugli enti locali sono gravati tutti i “buchi” della delega delle competenze, a livello centrale, nonostante l’ipotetico sgravio di lavoro, non è stato attuato nessun progetto di ridimensionamento degli uffici e dell’attività della pubblica amministrazione. Sono state soprattutto la sanità e una parte del welfare le materie in cui vi è stata una delega forte. La prima è stata trasferita alle regioni, mentre la seconda è stata decentrata, nei fatti, soprattutto ai comuni. Per quanto riguarda la sanità, le regioni sono completamente responsabili dei propri bilanci sanitari ricevendo dal centro parte delle risorse finanziarie necessarie. Ogni regione si organizza come più ritiene opportuno e risponde anche degli eventuali debiti accumulati nella gestione. In questa materia è quindi corrisposto un passaggio di risorse e competenze contemporaneamente portando a un miglioramento di alcuni servizi. Basti notare che da quando è avvenuto il trasferimento, è ad esempio aumentato il numero di nuovi ospedali in costruzione. Per quanto riguarda invece il welfare, le cose non sono andate nel migliore dei modi. Tanti bilanci degli enti locali vedono le proprie risorse assorbite dall’assistenza sociale che rimane spesso a carico dei comuni in maniera preponderante. Con il passaggio di competenze, in questo caso, non si è avuto un adeguato passaggio di risorse creando in questi anni un problema di generale indebitamento degli enti locali. Secondo uno studio di Dexia del giugno scorso, gli enti locali, pur rispettando tutti i vincoli di bilancio imposti dalle varie finanziarie, hanno accumulato un debito che, se non preoccupante, quanto meno deve far riflettere su come procedere sulla strada del federalismo. Concludo citando quelle regioni a statuto speciale dove il federalismo è già una realtà. In queste regioni il decentramento di funzioni ha dato risultati positivi poiché vi è un forte trasferimento di risorse da parte dello stato. Con il federalismo queste regioni dovranno rinunciare a tanti privilegi avuti in questi decenni e dovranno essere equiparate alle altre regioni. Questo rappresenterà sicuramente un freno alle riforme federaliste e il freno potrebbe arrivare proprio da quel nord che ha consacrato la vittoria di Bossi-Berlusconi: è soprattutto il nord (qui 3 regioni su 7 godono di questi privilegi) che potrebbe fermare le voglie leghiste.

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